San Girolamo raccontato da un volontario. Toni Berto: «Qui si lavora, ma c’è aria di santità»

«Spello ci ha dato tanto. Questo è un modo, semplice, per restituire qualcosa». Antonio Berto (ma qui è per tutti “Toni”) rappresenta, assieme alla moglie Paola, una delle colonne del volontariato a Casa San Girolamo. Sì, perché dietro le quinte del “polmone spirituale” dell’Azione cattolica, c’è una bella realtà di famiglie e amici che, a turno, si dividono i compiti di gestione della struttura, compresa la cucina, la spesa, le piccole manutenzioni, la cura del verde… Inoltre c’è chi pensa ai programmi e agli appuntamenti da proporre, chi tiene d’occhio gli aspetti amministrativi e più ampiamente gestionali. Persone innamorate di “San Giro” e, soprattutto, di ciò che esso rappresenta come luogo del silenzio, della Parola, della spiritualità e della formazione.
Antonio, oggi pensionato, è di Selvazzano Dentro, in provincia di Padova. Con la moglie Paola hanno avuto tre figli «e – specifica orgoglioso – due nipoti». Quest’anno come al solito è arrivato a Spello a inizio luglio con un gruppo di amici della parrocchia, con cui hanno condotto la struttura. Al seguito anche uno dei figli, Giovanni, presenza preziosa e di grande aiuto.
«La prima volta che siamo venuti – racconta Antonio – era il 1974. Eravamo ragazzi impegnati in parrocchia e nell’Ac. Dopo varie esperienze forti del periodo estivo, ci era stato proposto di andare a Spello, dove avremmo trovato un’esperienza forte di fede e di preghiera, con un certo fratel Carlo. Appena arrivati siamo stati sistemati all’eremo Sant’Angelo, una delle piccole e spartane residenze sparse sul Subasio, dove eravamo alloggiati. Si era, fra l’altro, a due passi dall’eremo Giacobbe, dove risiedeva spesso Carlo Carretto. Abbiamo così subito avuto modo di conoscerlo».
Il racconto decolla: «Alle 6.15 del mattino si recitavano le lodi con lui. Poi via, a lavorare nei campi, al servizio dei contadini del posto. Nel pomeriggio si restava all’eremo. Ci si riposava, si faceva silenzio e, Bibbia alla mano, si pregava. Il mercoledì pomeriggio e la domenica mattina ci si trovava a San Girolamo, nel chiostro, per cantare, pregare e ascoltare Carlo».
Che tipo era Carretto? Cosa aveva di speciale per attirare così tanti giovani? «Era un contemplativo. Parlava con il Signore e sapeva trasmettere la passione per il Vangelo. Siamo tornati varie estati. L’esperienza di quegli anni ha lasciato un segno profondo nella nostra vita».
E oggi? Quando e come siete tornati qui? «Era forse il 2010 o 2011: su Segno abbiamo letto che San Girolamo avrebbe riaperto. Ci siamo fatti subito avanti e l’estate successiva eravamo qui, a dare una mano. C’è stato un coinvolgimento progressivo, anche grazie a Gigi Borgiani. Una cosa è certa: le prime volte siamo tornati sull’onda dei ricordi, oggi scopriamo nuove motivazioni. Qui si viene a prestare un servizio, ma c’è anche la dimensione spirituale e formativa: partecipiamo ai momenti di preghiera, alla messa di mezzogiorno. E, ogni volta che è possibile, anche agli incontri di formazione».
Toni Berto aggiunge: «Ogni anno incontriamo qualche nuovo amico. Persone che tornano per pregare sulla tomba di Carretto, giovani o adulti dell’Ac che arrivano da tutta Italia per un fine settimana intenso… Qui – secondo me – si respira aria di santità».

Gianni Borsa

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