Il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, a Casa San Girolamo incontra la Presidenza nazionale di Ac

Seminare, accogliere, ascoltare: sono i tre verbi che il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha “consegnato” domenica 16 luglio incontrando la Presidenza nazionale dell’Azione cattolica riunita a Casa San Girolamo per tre giorni di lavoro, preghiera e programmazione dell’anno associativo.
Il cardinale è stato accolto dal presidente Matteo Truffelli e dall’assistente generale mons. Gualtieri Sigismondi. Con loro la presidenza e gli assistenti dei diversi settori di Ac. Durante un confronto sul profilo e il ruolo dell’associazione, il presidente della Cei ha indicato due testi per il cammino dell’Ac: l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI e l’Evangelii gaudium di papa Francesco. Si è poi soffermato a richiamare il valore di una “chiesa del tempo ordinario” e il compito dei laici nell’opera “feriale” di evangelizzazione.
Dopo lo scambio con i componenti della presidenza, la giornata è proseguita con la messa e con il pranzo: prima dei saluti, nel pomeriggio, sono stati donati a Bassetti alcuni testi di Carlo Carretto e i “Quaderni di Spello”, collana dell’editrice associativa Ave.
Qui di seguito proponiamo il testo dell’omelia del cardinale.

«Carissimi fratelli e sorelle, ci sono tre parole che, meglio di altre, sintetizzano la liturgia della Parola di oggi: il seminatore; il terreno; le orecchie. Tre parole a cui sono legati tre verbi di cruciale importanza: seminare; accogliere; ascoltare.
È fondamentale partire dal seminatore. Chi è il seminatore? Gesù non sta parlando solo di sé ma si riferisce ai suoi uditori. Si riferisce cioè alla Sua presenza e al Suo manifestarsi misterioso in ogni luogo del mondo per indicare all’uomo il sentiero della vita, ovvero la strada per la salvezza.
Il seminatore compie due diversi movimenti: esce e semina. Esce da dove? Non si tratta di un’uscita da un luogo ad un altro. È un’uscita esistenziale e mistagogica. Esce da se stesso per andare incontro all’altro. È quello a cui ci invita continuamente papa Francesco. È un’uscita che è essenzialmente un atto di amore totale e gratuito, e mai un semplice gesto esteriore. È questo un punto cruciale: il cristianesimo non è una religione incentrata sul dovere, ma è una fede fondata sull’amore preveniente da Dio. Se il peccato impedisce agli uomini di andare verso di Lui, è il Signore che si muove per primo e viene verso di noi.
Il secondo movimento che compie il Seminatore è altrettanto importante: semina. Dove lo fa? Ovunque. Il Seminatore getta il suo seme sopra ogni terreno che incontra lungo la sua strada. Non si scandalizza di cosa si trova davanti, non ha paura dei terreni difficili, non si dimentica di nessuno. Non solo: il seminatore non si mette a pulire i terreni sassosi o con i rovi, ma continua a gettare il frutto del suo amore. Lo riversa nel mondo senza chiedere nulla in contraccambio. Entra potenzialmente in ogni luogo, in ogni situazione di peccato, senza imposizioni, ma cercando di entrare in relazione con tutti. Il Signore, dunque, entra nella storia dell’umanità senza scegliere tra buoni e cattivi ma, come disse Paolo VI nel discorso di chiusura del Vaticano II, andando a cercare l’uomo “così come egli è” e non come vorrebbe che fosse.
La seconda parola su cui vorrei attirare la vostra attenzione è terra o terreno. La cita sia il profeta Isaia che l’evangelista Matteo. La pioggia fa germogliare la terra ma non tutti i terreni sono uguali. Nel Vangelo ne vengono descritti almeno quattro tipologie: la strada, i sassi, le spine e il terreno buono. Quattro terreni a cui corrispondono quattro reazioni diverse: l’indifferenza totale nella strada; un entusiasmo futile nei sassi; un’angoscia soffocante nelle spine; e una nuova nascita nel terreno buono.
Dobbiamo chiederci: cos’è che cambia in questi diversi terreni? Quello che cambia è la fertilità del terreno: ovvero la disponibilità all’accoglienza. Accogliere significa, prima di tutto, ricevere presso di sé e, poi, accettare all’interno della comunità e della propria appartenenza. E questa disponibilità all’accoglienza, questa fertilità, è un autentico termometro della nostra fede. Misura in modo inequivocabile su cosa abbiamo costruito la nostra casa: sulla roccia o sulla sabbia. E mostra al mondo se noi dichiariamo di amare Dio e il nostro prossimo solo con la bocca oppure anche con le opere e con il cuore.
Gesù ci esorta ad essere un terreno buono non come meta finale di un progetto pastorale, ma in virtù di un disegno di amore inesauribile che ha verso ogni sua creatura. È Lui che da senso all’amore e non siamo noi con i nostri propositi a dare significato a questa parola troppo spesso citata a sproposito nella vita di tutti i giorni. In definitiva, è Lui che ci accoglie per primo nel suo amore sconfinato e noi siamo solo chiamati a riversare nel mondo questo amore che ci viene continuamente elargito in una seminagione continua e incessante. Siamo esortati a non tenerlo solo per noi, questo seme, ma a donarlo a tutti: a partire dagli ultimi, dai poveri, dai disperati e da coloro che sono considerati gli scarti.
La terza parola, infine, è orecchi. A quale orecchie fa riferimento Gesù? Le orecchie più importanti non sono soltanto quelle nel nostro corpo fisico, ma sono quelle della nostra anima. Quelle orecchie che sanno riconoscere le parole buone da quelle sconvenienti, quelle orecchie che fanno da diga alle tante parole di zizzania, che caratterizzano il nostro vivere quotidiano e quelle orecchie che invece aprono le porte alla profondità del nostro cuore e alla parola di Dio.
Alle orecchie si lega un’azione importantissima: l’ascolto. Saper ascoltare è, al tempo stesso, una disponibilità dell’uomo e un dono di Dio. Non si tratta, anche in questo caso, di una capacità che si apprende sui banchi di scuola ma è, invece, una testimonianza autentica dell’abbandono nelle mani di Dio. Saper ascoltare significa, prima di tutto, essere umili; in secondo luogo, significa avere un cuore sensibile; e, infine, significa avere la consapevolezza che è Dio il vero Signore della storia e non si può far tutto con le proprie capacità o, addirittura, con la forza del potere.
Gesù invita continuamente i suoi discepoli ad ascoltare. Li invita a non farsi dominatori ma docili custodi di una Parola che è stata rivelata e donata. Custodi di una parola di vita che devono donare al mondo con la stessa gioia e la stessa gratuità con cui l’hanno ricevuta. Quel seme e quella parola che hanno avuto non è di loro proprietà. Essi hanno il privilegio di esserne intermediari preziosi ma mai proprietari unici. E questo è il dono che ogni credente ha ricevuto: ognuno nel proprio ministero o nel proprio ruolo. E questo è anche il grande dono per l’Azione cattolica.
Infatti, questi tre verbi che abbiamo appena accennato – seminare, accogliere, ascoltare – rappresentano il cuore pulsante dell’azione dei laici nel mondo contemporaneo. Sono tre azioni intimamente legate, senza che l’una prenda il sopravvento su l’altra. Tre azioni che stanno in un equilibrio perfetto e sono tenute assieme dal soffio dello Spirito Santo. Tre azioni, tre verbi, che caratterizzano da sempre la storia dell’Azione cattolica e che possono essere messe accanto alle tre parole che da sempre la contraddistinguono: “Preghiera, azione e sacrificio”.
Paolo VI in occasione del centenario dell’Azione cattolica ne ribadì con forza la missione: “servizio costante per il prossimo e difesa della verità”. Papa Francesco in occasione del 150° anniversario della fondazione ha invitato l’Azione Cattolica a raggiungere le “periferie” e a cercare “senza timore il dialogo con chi vive accanto” perché è nel “dialogo che costruiamo la pace, prendendoci cura di tutti e dialogando con tutti”. Queste parole di due grandi papi si legano alla perfezione con le tre azioni che abbiamo messo in rilievo oggi, seminare, accogliere, ascoltare, e ne danno un ancor maggior significato. Perché nulla è impossibile a Dio.
Su questa strada, cari fratelli e sorelle, non abbiate paura di aprire le porte del vostro cuore a Cristo e ad affidarvi totalmente alla protezione di Maria, la Vergine del Carmelo, che è madre della Chiesa e mamma di ognuno di noi. Siate forti nella fede e irreprensibili nei costumi; siate dispensatori di amore ai giovani, ai ragazzi, alle famiglie e docili accompagnatori di tutte quelle persone in difficoltà, che il mondo ha ormai abbandonato. Che Dio vi benedica e vi protegga sempre».

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