Ricordo di fratel Carlo. Quella “omelia laica” rimasta nel cuore


All’improvviso, nel bel mezzo di una fraterna conversazione durante il pranzo nell’accogliente Casa San Girolamo, Gigi mi annunciò che avrebbe voluto farmi una breve intervista per raccontare il mio primo incontro “a tu per tu” con fratel Carlo Carretto.
Poco prima, richiesto del motivo della scelta di Spello per un brevissimo ritiro di due giornate in compagnia di mia figlia Maria Rosaria, avevo rievocato con una certa commozione quella prima volta di alcuni decenni fa, quando, giovane un po’ inquieto e alla ricerca della mia strada nella vita, ero approdato, per poche ore, quasi per caso, alla Casa San Girolamo, nel corso di un mio soggiorno presso la Pro Civitate Christiana di Assisi.
La proposta di Gigi mi aveva sorpreso non poco, perché non comprendevo quanto e a chi potessero servire quei brandelli di ricordi personali che a fatica cercavo nella memoria, sebbene fossero ancora vivi e luminosi.
Il sopraggiungere di novità, che non mancano nell’ordinario e semplice svolgersi della vita quotidiana in Casa San Girolamo, scandita dalle ore della preghiera e dell’Eucarestia, non ci aveva fatto trovare il tempo per registrare il mio racconto. Ah! Deo gratias! Il pericolo era scampato!
Mi illudevo, perché al momento dei saluti Gigi, con garbo e cortesia, mi chiese di mandargli due righe al posto della mancata intervista.
Bene. Se le mie briciole di ricordi sono in qualche misura preziose agli occhi di altri, allora provo brevemente a ricostruire l’episodio.
Ero, dunque, ad Assisi ai primi degli anni ’70 per partecipare all’annuale Convegno della Pro Civitate Christiana quando, con un giovane col quale avevo stretto amicizia, si decise di “marinare” il convegno, e di raggiungere nella vicina Spello “l’eremita del deserto” Carlo Carretto. Il fatto che fosse stato un personaggio di spicco nell’Azione cattolica di altri tempi (alla quale io stesso aderivo) me lo rendevano familiare sebbene in qualche modo distante.
Per la verità fratel Carlo lo avevo ascoltato una prima volta dal vivo in una affollatissima riunione a Ostuni, pochissimi anni dopo il suo ritorno dalla decennale esperienza nel Sahara. Dopo quel primo fugace incontro, in cui non mi rendevo perfettamente conto di chi fosse il personaggio, lessi le Lettere dal deserto.
Mi portavano a lui il desiderio di conoscere e di ascoltare di persona il piccolo fratello del Vangelo, di cui conoscevo la biografia essenziale che mi aveva rivelato molto della sua singolare ricerca dell’Assoluto, del totalmente Altro.
Avevo con me da consegnargli anche una lettera di Gilberto De Nitto, mio compaesano e amico di fratel Carlo sin dai tempi della loro militanza nell’Azione cattolica degli anni ’40 e ’50.
Ricordo che mi fece una certa impressione che la comunità dei Piccoli fratelli abitasse stabilmente accanto a un cimitero e appresi che c’erano persone che trascorrevano intere giornate in solitudine negli eremi del monte Subasio per “fare deserto” e poter riflettere, leggere e meditare le Sacre Scritture.
La parola “deserto” accostata all’incontro con l’Assoluto di Dio che ti è vicino e ti abita nel profondo e ti rinnova, esercitava sulla mia giovinezza un fascino particolare e mi portava alla mente l’incredibile, radicale e singolare esperienza di Charles de Foucauld che, dopo la lettura di Lettere dal deserto, avevo cominciato a conoscere attraverso la rivista Jesus Charitas: la sua Preghiera dell’Abbandono insieme con la Preghiera Semplice di San Francesco e dopo il Padre Nostro erano le preghiere che spesso facevo risuonare nel mio cuore in quegli anni giovanili di ricerca e di scoperte, di ombre e di luci.
Così arrivai a Spello che era in corso la celebrazione della Messa.
Nella penombra della piccola cappella, arredata in modo sobrio ed essenziale (un crocifisso, l’icona della Madre di Dio, pochi ceri, un tappeto ai piedi del tabernacolo – la mia ricostruzione è approssimativa), il clima di silenzio e di profondo raccoglimento che avvolgeva i presenti, le panche di legno e i cuscini sul pavimento su cui qualcuno sedeva “come Maria ai piedi del Signore”, scorsi la figura di fratel Carlo assorto in preghiera, che si teneva la fronte con una mano, in un angolo nei pressi dell’altare, dalla parte destra da cui si proclama la Parola, la camicia bianca col colletto aperto, rivestita di un giubbotto grigio.
Finalmente avevo raggiunto la meta: ero nella casa di fratel Carlo e poco dopo avrei potuto rivolgermi a lui, nonostante fossi molto emozionato.
Fu un’altra sorpresa per me quando, dopo la proclamazione del Vangelo, il celebrante si sedette e lui si alzò, si accostò al leggio e, dopo una pausa di silenzio, il capo chino, cominciò a dar voce alla risonanza della Parola di Dio nel suo cuore.
Ah, che cosa non darei adesso per ricordare e ripetere alcune delle frasi, almeno qualche parola, pronunciate da fratel Carlo in quella celebrazione eucaristica: ricordo che mi arrivavano diritte al cuore e alla mente e sembrava forgiarle in quel preciso momento nel fuoco della sua ardente fede di innamorato di Dio.
Scoprivo allora la sua reale, autentica, confidente amicizia con Dio e la sua familiarità con le Sacre Scritture. In quell’occasionale intimo incontro di preghiera comunitaria, credo di aver visto e gustato la presenza del Signore.
Quel momento è rimasto in me come un punto luminoso (di orientamento e di richiamo, quasi di nostalgia) della mia vita.
Non ricordo più quanto mi trattenni col mio amico presso Casa San Girolamo, ma ricordo che appresi di come vi si svolgeva la vita, dell’esistenza degli eremi, poco distanti, per stare nell’umiltà e nel silenzio alla presenza del Signore. Ricordo soprattutto che mi ritrovai a stare solo con fratel Carlo nella sua cella, accanto al suo scrittoio, a cercare di balbettare qualcosa di me, col cuore in gola per l’emozione e la lingua che mi si legava al palato, mentre fratel Carlo, col suo largo sorriso e gli occhi che gli brillavano di tenerezza e di comprensione, provava a farmi a sentire a mio agio. Gli consegnai la lettera di cui ero latore e rimasi a conversare con lui per un breve tempo in quanto all’epoca non avevo grossi nodi problematici ed esistenziali da sciogliere o conflitti da chiarire e risolvere, ma ero in gioiosa ricerca ed aperto alle esperienze ecclesiali belle, nuove e significative.
Non ricordo più quali parole mi rivolse, ma ricordo che, alla fine della conversazione, posandomi una mano sulla spalla, fratel Carlo mi diede sprone, mi incoraggiò ed io mi sentii felice e rinfrancato. Prima di congedarci fratel Carlo prese dal suo scrittoio un pezzo di legno rivestito di corteccia, su cui era stata fissata un’immaginetta recante la Preghiera Semplice di san Francesco in caratteri minuti, sul margine superiore destro una piccola croce a forma di Tau incisa a fuoco: me ne fece dono e io lo tengo come un oggetto prezioso, quasi una reliquia, come prova certa di quel memorabile e provvidenziale incontro con fratel Carlo Carretto, Piccolo fratello del Vangelo.

Pino Spinelli, Taranto

(nella foto, Carlo Carretto, al centro, nel Chiostro di San Girolano; Fondo fotografico di Ennio Angelucci, Archivio Isacem)

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