Il titolo del percorso formativo che il Settore Adulti ha proposto per l’ultimo weekend di luglio, presso la Casa San Girolamo, riprende il verso 344 del XXIV canto dell’Odissea: a Laerte si sciolsero ginocchia e cuore nel riconoscere il figlio Ulisse, dopo venti anni di attesa, tra dubbi, timori e speranze. Lo riconosce da “segni sicuri” e ne scaturisce una gioia incontenibile. Anche noi che abbiamo partecipato a questi giorni, accompagnati da don Fabrizio, Veronica e Nicola, abbiamo riconosciuto molti segni che hanno consolato il cuore e illuminato il nostro viaggio: la fraternità della Casa, innanzitutto, che rende più facile l’incontro tra le persone, la semplicità del rivelarci l’un l’altro, facendoci riconoscere per quello che siamo, la preghiera nella quiete del chiostro o sulla tomba di fratel Carlo, in misteriosa ma “sicura” unione con lui, l’esperienza associativa di Ac che ci accomuna, soprattutto il segno grande della Parola, che ci rivela il vero volto di Dio.
Ma anche un altro segno ha, con tutta la sua forza simbolica ed evocativa, nutrito il nostro cuore in questi giorni, pro-vocandoci alla bellezza e alla riflessione: l’arte, quella fatta di disegno, colore, di materia modellata e scolpita oppure di parole, di esametri antichi e di testi moderni, di suoni, di note, di suggestioni che inducono in noi risonanze ed emozioni sopite che è bene si svelino e si facciano anch’esse riconoscere. Mettere in dialogo arte e Parola, arte e fede: questo è l’obiettivo, per facilitare l’incontro tra Parola, bellezza e vita, per scoprire che il Vangelo è un’esperienza di bellezza e, come l’arte, ci svela il senso della vita.
Condividendo le diverse competenze, Veronica esperta di arte, Nicola di letteratura greca e don Fabrizio di teologia e Sacra Scrittura, ci hanno guidato attraverso immagini, versi omerici, canzoni e passi biblici in un’esperienza estetica e spirituale, facendo emergere in noi meraviglia ed emozioni, domande, intuizioni e sguardi nuovi su di noi e sulla nostra vita. Ci siamo lasciati interpellare dalla suggestione e dalla grande metafora del viaggio, inteso come sradicamento, scoperta, conoscenza, incontro, ma anche come ricerca di sé, delle proprie radici, del padre che ci ha generati e dei figli generati da noi, come pure ci ha fatto riflettere l’immagine simbolica della valigia proposte da tanti artisti.
Se nelle opere d’arte, e in particolare nelle raffigurazioni dell’incontro del Figliol prodigo con il Padre dipinte da De Chirico e da Chagall, abbiamo riconosciuto i segni dello Spirito e del Verbo, nella liturgia eucaristica abbiamo incontrato il Verbo stesso che sempre ci narra la bellezza del Padre, perché crediamo che non c’è nulla di più attraente del volto paterno di Dio. Come ci dicono don Fabrizio e Veronica nel loro testo da poco uscito per l’editrice Ave, che non a caso si intitola “Bellezza e Parola”, l’opera d’arte è uno specchio, una finestra, una porta: riflette noi e la nostra vita, le domande universali dell’umanità, gli aspetti più intimi e profondi del nostro animo, spalanca il nostro sguardo verso un qui e un altrove, e come una porta mette in comunicazione il mondo di Dio con quello dell’uomo. Questo utilizzo dell’arte come strumento pastorale, come linguaggio di evangelizzazione, attuato ormai da diversi anni nei percorsi formativi dell’Ac, non solo arricchisce la spiritualità di chi ne fa diretta esperienza, ma diventa anche occasione per proposte innovative, per portare la Parola di Dio nella vita delle persone, favorendo una condivisione proprio a partire dalla visione di un’opera d’arte, coinvolgendo così anche chi si sente lontano dall’esperienza religiosa.
Sempre l’incontro con la bellezza in una delle sue innumerevoli forme sa donare risonanze esistenziali inedite e inaspettate: è quello che è accaduto a noi, partecipanti al weekend di Spello, quando, invitati a comporre una poesia visiva a partire dai versi dell’Odissea, dopo l’iniziale e comprensibile diffidenza, abbiamo vissuto la proposta laboratoriale con creatività ed entusiasmo.
Oppure quando, nei momenti di condivisione, ci siamo reciprocamente riconosciuti, nella verità delle nostre vite, adulti ancora in viaggio, con le nostre valigie pesanti, ma aperte sull’orizzonte, figli bisognosi di un Padre e nello stesso tempo chiamati a essere generativi per questo nostro tempo.
Claudia Vellani Fato