Tempo ordinario: la vita quotidiana come sintesi tra contemplazione e azione

Passate le festività, in cui abbiamo potuto rinnovare il nostro “far posto” al Dio che viene, riprendiamo la vita del tempo ordinario; il tempo comune di ogni giorno in cui dobbiamo mettere in pratica la seminagione della Parola.
Già la domenica del Battesimo di Gesù ci ha dato uno scossone in quanto ha richiamato anche il nostro Battesimo e quindi il nostro essere figli di Dio, inseriti nella Chiesa con tutto ciò che comporta. Il Vangelo del lunedì dopo la prima domenica del tempo ordinario ci racconta le prime chiamate di Gesù… anche noi chiamati, convocati a quel discepolato che ci deve far presenti nel mondo in nome di Cristo.
Viene e seguimi, lascia tutto e seguimi: è questo il senso della chiamata, è questo l’invito che ci viene rivolto perché la perenne luce del Natale possa illuminare il mondo.


Lo stile proposto da Casa San Girolamo ci aiuta perché indica la via quotidiana della sintesi tra contemplazione  e azione. Non possiamo separare queste due dimensioni con il rischio di chiudersi in una interiorità intimistica che non ci viene richiesta o di buttarci in cose da fare senza quello spirito e quello stile di vita cristiana che dovrebbe trasformare, ogni gesto, ogni incontro in un incontro di reciproca evangelizzazione.
Nella riflessione ci può aiutare qualche riferimento alla Evangelii gaudium.

Numero 120. In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”.

Numero 180. Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

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