“Dammi da bere”. Lo chiedo a te donna che per i figli del mio popolo sei straniera e pagana, proprio come la vedova di Sarepta di Sidone che nutrì il profeta Elia.
Lo chiedo a te donna che per i tuoi concittadini sei l’adultera che ha avuto cinque mariti e ancora mendica amore.
Ma per me sei donna… Non lo dico con disprezzo, sia chiaro, come la maggior parte dei miei conterranei, perché questo è il titolo che ho dato a mia madre Maria.
Donna, per me, è profumo di fiore di campo, è il sorriso della luna che si affaccia nel cielo dopo il tramonto. Per me donna è tenerezza e dignità.
Ed è per questo che dalle tue mani voglio bere, per farti venire sete. Sì, donna, perché quest’acqua è l’amore, più lo doni e più ne avverti la necessità.
Ti imploro di darmene! Ti supplico! Sono un mendicante anch’io… Un Dio mendicante, perché ormai svuotato della divinità per farmi prossimo agli uomini.
Allora ho pensato che questo pozzo, proprio questo davanti al quale siamo seduti, possa essere quella sorgente a cui tutti gli uomini assetati possano, ieri, oggi e domani, venire a bere. E chi ha sete d’amore, infatti, ha sete di Dio! E qui c’è Dio!
Se tu non lo vedi, o donna, ti dico “sono io che parlo con te”. Sono io che ti parlo nel fiore del campo e negli uccelli del cielo, ti parlo nel fratello e nella sorella che attraversano la tua vita. Sono io che dovrai imparare a riconoscere nel “soffio di una brezza leggera” come Elia sull’Oreb. Sono io che cerchi e afferri, e dopo che avrai afferrato sarò fuggito.
Proprio come fuggi tu, quando hai paura, o quando ti abbatti dopo un fallimento. Proprio come fuggi tu nel giardino dell’Eden quando sbagli e ti accorgi di essere nudo.
“Dammi da bere”, perché solo se berremo insieme, possiamo camminare insieme.
don Michele Pace