Gli Atti ci descrivono la vita della prima comunità cristiana: una comunità fatta di semplicità di cuore, di fraternità, di assiduità nella frazione del pane, di condivisione, di convivialità.
Le nostre comunità sono distanti da quella che consideriamo ideale; certo sono passati gli anni, sono cambiati i tempi ma pur resta l’elemento fondante che è la vita del Risorto in noi. Spesso ci limitiamo a una assiduità che è abitudine, precetto, chiusura. Le nostre comunità le viviamo in modo ritualistico, personale, poco missionario. Rischiamo di restare chiusi nei cenacoli incapaci di trasmettere la vita del Risorto. Fa pensare l’atteggiamento di Tommaso: è incredulo, diffidente di suo o forse la sua incredulità è dovuta in parte anche al modo con cui i suoi fratelli gli hanno raccontato l’incontro con il Signore?
Siamo invitati a essere “credenti” e in quanto tali siamo chiamati a formare una comunità di credenti che deve essere credibile.
Beati coloro che credono pur non avendo visto. E beati i misericordiosi, i miti, i poveri in spirito, i consolati e i consolatori, gli affamati di giustizia…
La Parola di questi giorni non solo ci immette nella luce, nella gioia della resurrezione ma ci invita, ancora una volta, a una revisione di vita personale e comunitaria. Forse non è possibile oggi replicare con le stesse modalità la vita delle prime comunità ma è certamente possibile scegliere e assumere insieme comportamenti che testimoniano fede, fraternità, sobrietà.
I tempi moderni non ci permettono una vita comunitaria più intensa; ma almeno dobbiamo fare il possibile per vivere bene anche il poco tempo comune che abbiamo. E questo a partire da una più intensa vivacità domenicale. Così come ci ricorda Papa Francesco nella Laudato si’: la domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con se stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia «il riposo eterno dell’uomo in Dio». In tal modo, la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri (237).
La ruota del carretto