Per troppo tempo si è pensato che la spiritualità fosse una parentesi rispetto alla quotidianità della vita, che l’interiorità si identificasse con una forma di fuga dalla realtà o di generico intimismo rispetto agli affetti e alle responsabilità di ogni giorno. Forse è arrivato il momento – ed è questo – in cui lasciarci incantare e cambiare una volta per tutte dallo stile di Gesù, che non può pronunciare il nome di Dio, il Padre, se non tramite le relazioni che vive, il contatto con le cose, la profondità dei corpi, la ricchezza dei colori, la cura dell’ospitalità. Il Figlio di Dio non guarda il mondo dall’alto, ma lo attraversa con occhi riconoscenti, lo tocca con mani delicate, operose e accoglienti, lo ascolta percependo i fremiti nascosti delle fatiche e delle gioie di ciascuno, lasciando che il cuore pianga per le ingiustizie e batta forte per ogni buona sorpresa dello Spirito.
La spiritualità cristiana o è incarnata e fraterna, o semplicemente non è: se perdi l’umano e la sua storia, perdi anche Dio e se perdi Dio, perdi l’apertura necessaria per custodire l’umano, a favore di tutti. Carlo Carretto, ai tempi della sua permanenza a Spello nel convento di San Girolamo, aveva espresso questo cuore pulsante del cristianesimo coniando l’immagine del “deserto nella città”, sintesi della sua ricerca spirituale: non si tratta di trovare il deserto uscendo dalla vita di tutti i giorni, ma di riconoscere il deserto dentro di essa, per farne il luogo della presenza di Dio. Fu una profezia coraggiosa, essenziale, intrisa di Concilio, purtroppo in parte dimenticata dalle riflessioni ecclesiali più ufficiali, ma non certo dalle molte persone che per motivi diversi e per strade impreviste ripassano a Spello diventandone testimoni silenziosi, senza saperlo, quasi come l’acqua di un fiume carsico che riemerge qui e là in superficie, quando e dove meno te lo aspetti.
È di questo che oggi abbiamo bisogno: rielaborare una spiritualità “laicale”, che aderisca alla vita come si dà, che consegni criteri e strumenti per discernere nel lavoro, nella scuola, nella politica, nelle amicizie e negli affetti, lo Spirito che opera per umanizzare il mondo. Casa San Girolamo, a Spello, desidera diventare un luogo in cui provare a onorare insieme questo compito, attualizzando e rivitalizzando quell’intuizione di Carlo Carretto che proprio oggi sembra diventare particolarmente urgente, come d’altronde succede per ogni vera profezia.
Si impara a vivere l’Eucaristia come ospitalità e pasto che genera comunione, a leggere le Scritture insieme, riconoscendo in esse quelle esperienze fondamentali della vita in cui poter nominare (non invano o superficialmente!) il nome di Dio, ad adeguare gli orari della preghiera alla dinamicità e agli imprevisti della vita reale, a maturare uno stile di apertura che possa fare della fraternità non una parola retorica, o romantica, ma un vero e proprio modo di essere che generi poco per volta una cultura fraterna, dovunque ci si trovi a vivere.
Bastano due segni, presenti a Spello, per indicarne l’atmosfera. Da un lato il pozzo, al centro del chiostro: richiama la necessità di fermarsi, di poter attingere ad un’acqua profonda, rallentando il tempo ansioso dell’orologio e facendo spazio a chi si incontra. Dall’altra i giornali, cartacei e non, insieme ai libri a disposizione in salone o sotto il porticato: ricordano che soltanto nel faticoso confronto con la realtà, portato avanti con sguardo critico, non ideologico e il più possibile condiviso, si acquisiscono occhi e cuore spirituali, in grado di cogliere le movenze dello Spirito nelle cose di tutti i giorni.
Senza il pozzo tutto ci scorrerebbe davanti in modo superficiale; senza i giornali, però, non si avrebbe a che fare con il terreno della storia, nel quale il tesoro evangelico da sempre è seminato per poter portare frutto. Il “deserto nella città”, appunto: silenziosa profezia evangelica da riabilitare o, forse, da scoprire fino in fondo per la prima volta.
don Gianluca Zurra