Il tema della misericordia non è novità recente per Papa Francesco. Non pochi ricorderanno che nel suo primo Angelus domenicale (17 marzo 2013) Jorge Mario Bergoglio, neo “vescovo di Roma”, fece riferimento a un testo: “In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un cardinale – il Cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo –, sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali! Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene. Il cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola… cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza”.
Possiamo affermare, soprattutto alla luce dell’indizione del presente Anno santo, che la misericordia è al cuore del pontificato di Papa Francesco.
Si sono già spese, si spendono e si spenderanno tante parole su questo tema, su questo anno. Qui si vorrebbero avanzare ancora due considerazioni che richiamano come l’anno giubilare non è il rilancio di una pratica tradizionale, di una devozione: è qualcosa che coinvolge profondamente ogni credente e, al contempo, tutta la comunità. È un fatto di Chiesa. Dio misericordioso, Chiesa misericordiosa!
Se, come è definita dal Concilio (Lumen gentium), la Chiesa è sacramento, segno universale di salvezza, essa è anche segno della misericordia di Dio. Il dovere della misericordia riguarda perciò tutta la Chiesa in quanto corpo di Cristo e segno della presenza di Cristo nel mondo. Una Chiesa senza misericordia non sarebbe la Chiesa di Gesù Cristo.
Una prima considerazione, allora, è relativa al recupero (urgente) del senso di appartenenza alla Chiesa. Le azioni specifiche che, personalmente, ogni credente compie per ottenere i benefici del giubileo confluiscono nel “benessere” di tutta la Chiesa che, attraverso il giubileo, recupera la propria identità e mette a regime il suo essere missionaria. Misericordiosa.
Una seconda considerazione richiama le opere di misericordia corporali, specie per quanto riguarda l’attenzione ai poveri, ovvero un altro aspetto caratteristico del pontificato di Papa Francesco. La Chiesa come testimone di misericordia, una comunità povera con i poveri. Non si tratta di un programma di gesti di beneficienza o di assistenza, ma di un impegno di conversione, che riguarda ciascuno e tutti, che porti davvero non solo ad avere attenzione per i poveri ma ad assumere atteggiamenti, stili di vita più coerenti; un impegno, sull’esempio di Gesù, che non si è limitato a predicare ma, “da ricco che era si è fatto povero”.
Essere poveri con i poveri non è una questione sociale, ma una questione cristologica. Può essere utile in proposito rileggere scritti di Charles de Foucauld e di Carlo Carretto. In molti dei loro scritti ritorna infatti il richiamo alla essenzialità, alla vita povera, semplice, alla vita di Nazaret. A Charles de Foucauld potremmo associare l’affermazione di Paolo ai Corinti. Da ricco (il visconte) che era si fece povero e cercò di assomigliare a Gesù povero; ultimo tra gli ultimi del deserto; fratello universale.
Dal canto suo Carlo Carretto, uomo di vita semplice, “preso” dal fervore dell’apostolato, lasciò tutto, rispondendo alla chiamata, quella decisiva: “Vieni con me nel deserto!”.
Siamo chiamati, con il giubileo, a un anno “dell’essenziale” per una vita di essenziale e di amore per gli altri. Il giubileo in questo senso non è una vecchia tradizione, ma un messaggio decisivo, affinché la Chiesa, popolo di Dio, affinché noi, ciascuno di noi insieme nel popolo di Dio, possiamo davvero essere messaggeri di misericordia – ricevuta e donata – per il mondo di oggi.