Ci sono molte parole che iniziano con la “a” e che richiamano positivamente il periodo natalizio: avvento, attesa, ascolto, accoglienza, annuncio, azione (anche cattolica!), appartenenza… Ce ne sono altre meno positive quali: assenza, accidia, afasia, ansia, allontanamento, abbandono, abdicazione.
Ognuna di queste parole meriterebbe riflessioni. La lettura del vangelo in uno dei questi giorni di avvento (Mt 9,35, 10,1.6-8) suggerisce una considerazione sulla folla (di cui Gesù ha compassione) stanca e sfinita. È anche la folla di oggi, disorientata e ansiosa, che non ha punti di riferimento; assenza di guide e di pensieri-guida capaci di orientare, di dare senso, ma anche assenza di credenti disponibili a prendersi cura. In qualche modo siamo tutti chiamati a essere operai per la messe, ma è palpabile il rischio dell’accidia.
C’è ancora troppa gente che confonde “messe” con “messa”, si limita a un esercizio religioso ed è restia a buttarsi nella mischia, a mettersi in gioco per l’annuncio. Cosi scrive Papa Francesco in Evangelii gaudium: “Quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero… Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante” (Eg 81).
Forse non è chiaro che l’universale chiamata alla santità non è un bonus acquisito una volta per tutte con un sacramento o per questione ereditaria o per scelta di genitori credenti. Così per molti avvento è attesa, vivace, coinvolgente, responsabilizzante; è predisposizione all’accoglienza. Per altri è solo un periodo che porta stancamente al Natale.
Forse è tempo di richiamarci allo stato di missione in cui ci pone l’incontro con il Signore. Missione dove? A chi rivolgersi? Cominciamo dal rivolgerci “alle pecore perdute della casa di Israele”. Ovvero a tutte quelle persone vicine che per il Battesimo fanno parte della Chiesa ma ne hanno perso il significato, che hanno abbandonato, e si sono allontanate perché non hanno capito (non le abbiamo aiutati a capire?) il senso e il bello di appartenere alla Chiesa e, di conseguenza, di sentirsi parte attiva della sua missione.
Del resto la Chiesa non può solo parlare per mezzo del Papa e del magistero dei vescovi: essa ha bisogno di pronunciare e testimoniare il nome di Dio con la parole vive e operanti di tutto il popolo raccolto nel nome del Signore. Occorrono quindi opere di misericordia spirituali: l’ignoranza (compreso quella sugli insegnamenti del Concilio ad esempio) non rende liberi, anzi esclude. Spiegare come stanno le cose apre mente e cuore e aiuta a farsi carico. A non abdicare, a non delegare sempre ad altri ciò che è nostro compito Farsi carico di una appartenenza che include, che abilita a quella missione alla quale siamo chiamati in un percorso di santità.
Avvento quindi è il momento delle “a” positive, è il tempo favorevole per non abbandonare, per pigrizia o stanchezza, le buone intenzioni del clima natalizio. L’anno giubilare ormai iniziato sollecita a non rinviare a domani quel che si può fare oggi, perché il mondo ha bisogno di misericordia, ma questa passa dalle nostre mani, dal nostro essere cuore convertito.