Beato sarà lei! Questo potremmo sentirci dire da un povero, da un afflitto, da chi ha fame e sete di giustizia, da chi è perseguitato dopo aver ascoltato le Beatitudini. Beate quindi sarebbero le persone senza una lira (euro), senza dimora, o persone profughe, o malate, o quelle che muoiono di fame e sete nei vari paesi del mondo? E se questi son beati, perché darsi da fare per sollevarli dal loro stato?
Sappiamo bene che non è questo il modo di affrontare ciò che potrebbe sembrare un non senso evangelico. Si tratta infatti di dare senso alle cose e magari ridare significato alle parole. Tra queste un accenno alla povertà. Nel senso biblico il povero non è il disgraziato, il privo
di risorse materiali, il disoccupato ma, per dirla con Carretto, “è l’uomo normale cha ha casa, figli, lavoro, che veste come tutti gli altri… è l’uomo normale, è l’uomo!”.
L’uomo che scopre se stesso, che scopre i suoi limiti. “È l’uomo che diventa beato se accetta i limiti come provenienti dalle mani di Dio e per realizzare il suo Regno”. “Naturalmente in questa categoria entrano anche i pitocchi, gli affamati, gli straccioni, ma non sono i soli e non è detto che per il fatto che siano senza cibo siano beati. Solo chi accetta per amore la sua miseria diventa beato, altrimenti, pur essendo povero fisicamente, può essere ricco nello spirito” (da Carlo Carretto, Al di là delle cose).
Da queste righe deriva un invito non solo alla riflessione sulle Beatitudini, ma alla specificazione dei termini, ad entrare in modo meno affrettato e superficiale nella Parola. Per quanto riguarda la povertà non è solo il caso di distinguere tra “ricchi” e “poveri”, tra equo e superfluo, ma si tratta – come scrive ancora Carretto – di maturare che la povertà evangelica è “frutto dolce che nasce sull’albero dell’amore che non è l’albero della giustizia (sovente lo è anche) o l’albero della filantropia
o peggio l’albero della testimonianza orgogliosa di chi mi vuol dimostrare di essere migliore o più generoso degli altri. L’albero dell’amore è l’albero dell’amore e solo chi ama può capire e vivere la povertà evangelica”. “Prima di essere povero devo cominciare ad amare” (Al di là delle cose).
Beati noi se sapremo avvicinarci con umiltà alle Beatitudini, togliendo giudizi e presunzioni, coltivando l’accettazione di noi stessi e l’abbandono in Dio. Questo prima di metter testa, cuore e tempo nelle relazioni con gli altri indipendentemente dalle loro condizioni e dalle categorie con le quali troppo spesso ci misuriamo.
Gigi Borgiani