Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ invita a “leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a ‘coltivare e custodire’ il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre ‘coltivare’ significa arare o lavorare un terreno, ‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future (67).
“Trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra. Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo” (70).
Ognuno di noi ha un pezzo di terra in cui abitare. Raramente sarà un posto idilliaco, tipo mulino bianco o paradiso terrestre. Più probabilmente sarà una città o un paese, un palazzo in una via trafficata, una periferia o un quartiere popolare o una zona residenziale, talvolta con poche relazioni.
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Sperare
Poveri, malati, profughi… Beato sarà lei!
Beato sarà lei! Questo potremmo sentirci dire da un povero, da un afflitto, da chi ha fame e sete di giustizia, da chi è perseguitato dopo aver ascoltato le Beatitudini. Beate quindi sarebbero le persone senza una lira (euro), senza dimora, o persone profughe, o malate, o quelle che muoiono di fame e sete nei vari paesi del mondo? E se questi son beati, perché darsi da fare per sollevarli dal loro stato?
Sappiamo bene che non è questo il modo di affrontare ciò che potrebbe sembrare un non senso evangelico. Si tratta infatti di dare senso alle cose e magari ridare significato alle parole. Tra queste un accenno alla povertà. Nel senso biblico il povero non è il disgraziato, il privo
di risorse materiali, il disoccupato ma, per dirla con Carretto, “è l’uomo normale cha ha casa, figli, lavoro, che veste come tutti gli altri… è l’uomo normale, è l’uomo!”.
Lasciare e prendere. La spinta missionaria
Gesù lascia Nazaret e si reca in Galilea per iniziare il suo annuncio alle genti. I primi apostoli lasciano le reti e seguono Gesù. La domanda a ciascuno potrebbe essere: e io cosa lascio? La risposta è naturalmente personale, ma ci può aiutare papa Francesco che nella Laudato si’ invita a lasciare se stessi scrivendo: “È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società” (208).
Ricordo di Leonello Radi, amico di Carlo Carretto, che “inventò” il conventino di San Girolamo
Domenica 8 gennaio, all’età di 87 anni, ha lasciato la sua dimora terrena Leonello Radi. Obbligatorio ricordarlo qui, per il suo profondo, essenziale e personale legame alla realtà di San Girolamo. Cercheremo, per quanto possibile, di renderne conto e ragione.
Racconta egli stesso nel suo Carlo Carretto a Spello (Ave, Roma 1999): «Io in quel periodo (siamo negli anni 1950-’54) avevo la responsabilità di presidente diocesano [della Giac, ndr] di Foligno. Ero uno dei tanti. Questo per dire che non avevo con Carlo Carretto rapporti di intensa frequentazione, ma solo relazioni che scaturivano dalle attività che venivano svolte».