Beato sarà lei! Questo potremmo sentirci dire da un povero, da un afflitto, da chi ha fame e sete di giustizia, da chi è perseguitato dopo aver ascoltato le Beatitudini. Beate quindi sarebbero le persone senza una lira (euro), senza dimora, o persone profughe, o malate, o quelle che muoiono di fame e sete nei vari paesi del mondo? E se questi son beati, perché darsi da fare per sollevarli dal loro stato?
Sappiamo bene che non è questo il modo di affrontare ciò che potrebbe sembrare un non senso evangelico. Si tratta infatti di dare senso alle cose e magari ridare significato alle parole. Tra queste un accenno alla povertà. Nel senso biblico il povero non è il disgraziato, il privo
di risorse materiali, il disoccupato ma, per dirla con Carretto, “è l’uomo normale cha ha casa, figli, lavoro, che veste come tutti gli altri… è l’uomo normale, è l’uomo!”.
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Lasciare e prendere. La spinta missionaria
Gesù lascia Nazaret e si reca in Galilea per iniziare il suo annuncio alle genti. I primi apostoli lasciano le reti e seguono Gesù. La domanda a ciascuno potrebbe essere: e io cosa lascio? La risposta è naturalmente personale, ma ci può aiutare papa Francesco che nella Laudato si’ invita a lasciare se stessi scrivendo: “È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società” (208).
Ricordo di Leonello Radi, amico di Carlo Carretto, che “inventò” il conventino di San Girolamo
Domenica 8 gennaio, all’età di 87 anni, ha lasciato la sua dimora terrena Leonello Radi. Obbligatorio ricordarlo qui, per il suo profondo, essenziale e personale legame alla realtà di San Girolamo. Cercheremo, per quanto possibile, di renderne conto e ragione.
Racconta egli stesso nel suo Carlo Carretto a Spello (Ave, Roma 1999): «Io in quel periodo (siamo negli anni 1950-’54) avevo la responsabilità di presidente diocesano [della Giac, ndr] di Foligno. Ero uno dei tanti. Questo per dire che non avevo con Carlo Carretto rapporti di intensa frequentazione, ma solo relazioni che scaturivano dalle attività che venivano svolte».
Contemplazione e povertà sono inseparabili
So che ciò che ho detto sulla povertà è grave e so anche che nel mondo non ho saputo attuarla. Chi ha cambiato il vecchio tavolo di casa sua per un altro insignificante sono io; chi ha vissuto per anni dietro la maschera del piacere agli altri sono io; chi ha speso denari e non solo suoi per le cose non vere sono io. Eppure, nonostante questo, non posso tacere; e ai vecchi amici debbo dirlo: badate alla tentazione delle ricchezze. È molto più grave di quanto appaia oggi ai cristiani benpensanti e semina strage nelle anime, proprio perché si sottovaluta il pericolo o perché, a fin di bene, tutto diventa lecito. La ricchezza è un veleno lento, che colpisce quasi insensibilmente, paralizzando l’anima nel momento esatto della sua maturità. Sono le spine che crescono col grano e che lo soffocano proprio quando comincia a mettere la spiga. Quanti, uomini o donne, anime religiose che pur hanno superato il ben duro scoglio della impurità, si lasciano irretire nella maturità della vita da questo demone vestito bene e di gusti borghesi. Ora che la solitudine e la preghiera mi hanno aiutato a vedere più chiaro, comprendo perché contemplazione e povertà sono inseparabili. Non si può giungere alla intimità con Gesù a Betlemme, con Gesù esule, con Gesù operaio a Nazaret, con Gesù apostolo che non ha ove posare il capo, con Gesù crocifisso, senza aver operato in noi quel distacco dalle cose, da lui così solennemente proclamato e vissuto. Non si giungerà di colpo a questa dolcissima beatitudine della povertà. La vita non ci basterà a realizzarla in pieno; ma è necessario pensarci, riflettere, pregare. Gesù, il Dio dell’impossibile ci aiuterà.
Carlo Carretto
Tempo ordinario: la vita quotidiana come sintesi tra contemplazione e azione
Passate le festività, in cui abbiamo potuto rinnovare il nostro “far posto” al Dio che viene, riprendiamo la vita del tempo ordinario; il tempo comune di ogni giorno in cui dobbiamo mettere in pratica la seminagione della Parola.
Già la domenica del Battesimo di Gesù ci ha dato uno scossone in quanto ha richiamato anche il nostro Battesimo e quindi il nostro essere figli di Dio, inseriti nella Chiesa con tutto ciò che comporta. Il Vangelo del lunedì dopo la prima domenica del tempo ordinario ci racconta le prime chiamate di Gesù… anche noi chiamati, convocati a quel discepolato che ci deve far presenti nel mondo in nome di Cristo.
Viene e seguimi, lascia tutto e seguimi: è questo il senso della chiamata, è questo l’invito che ci viene rivolto perché la perenne luce del Natale possa illuminare il mondo.